30 luglio 2017

IL FUTURO DEL DIMAGRIMENTO

QUANDO SI PARLA DI DIMAGRIMENTO, I SEI PASTI AL GIORNO POTREBBERO ESSERE UNA COSA ORMAI DEL PASSATO. LA RICERCA SU COME IL DIGIUNO INTERMITTENTE PUÒ ACCELERARE IL CONSUMO DI GRASSO CONTINUA AD AVANZARE.

DEL DOTT. MATTHEW KADEY, MS, RD // TRADUZIONE MASSIMO BANI
copyright © [aprile 2016] – Muscle & Performance®

Gli Stati Uniti sono diventati una nazione di consumatori di spuntini 24 ore su 24. Se volete dimagrire, e magari anche vivere più a lungo, può  essere  una  buona  idea stare
maggiormente alla larga dalla  cucina.
Il digiuno intermittente (DI) – cioè la ciclizzazione di restrizione dell’assunzione calorica e periodi di assunzione normale – è un modello alimentare che risale ai nostri antenati, quando    il cibo non era sempre a portata di mano. Ciò è diverso dalla più comune (e qualcuno direbbe meno sostenibile) restrizione calorica delle diete classiche, in cui le persone puntano semplicemente a ridurre l’assunzione energetica quotidiana nella speranza di far sparire la pancia.
Tutt’altro che una farsa, il DI è un ottimo  modo per aiutare le persone a dimagrire, dicono sempre più ricercatori. Uno studio del 2015 pubblicato sull’European Journal of Clinical Nutrition ha scoperto che il DI causa sicuramente dimagrimento – circa 220-770 g la settimana – insieme alla riduzione della percentuale di grasso corporeo. Allo stesso modo, quando i ricercatori della Baylor University (Waco, Texas) hanno esaminato tutti i dati a disposizione, hanno scoperto che il digiuno a giorni alterni per 3-12 settimane ha ridotto effettivamente il peso corporeo e il grasso corporeo. I risultati possono essere duraturi: i ricercatori australiani affermano che otto settimane di DI controllato hanno stimolato il dimagrimento e anche limitato il riguadagno di peso 44 settimane dopo, quando i soggetti sono stati lasciati liberi di mangiare a piacimento (alcuni ricercatori pensano che il DI influenzi gli ormoni della fame e insegni a imparare a riconoscere i sintomi della vera fame fisica).
Ci sono altre buone notizie. La ricerca mostra che il DI ha un tasso di fedeltà superiore alla gran parte delle diete e preserva meglio la massa muscolare. Altri dati indicano che un periodo di DI può migliorare la salute cardiaca riducendo colesterolo, trigliceridi, infiammazione e pressione ematica. Può anche aumentare la produzione di un gene della longevità e favorire il miglioramento della funzione cerebrale con il passare degli anni. La riduzione dello stress ossidativo e dell’infiammazione può essere il motivo per cui  la DI riesce a far conservare la lucidità mentale.
Quindi la DI fa bene ai muscoli, alla salute generale e alla materia grigia. Ma il digiuno intermittente dichiara anche guerra al grasso testardo? Sembra che il beneficio brucia grassi principale derivi dal miglioramento della sensibilità all’insulina nel corpo. Con il  miglioramento  della sensibilità cellulare all’insulina, l’ormone che regola la glicemia ematica, il corpo digerisce il cibo in modo più efficiente, con conseguente minore accumulo di grasso anche quando si assumono più calorie durante i periodi di non digiuno. Questi benefici glicemici sono fra le ragioni per cui la DI è salita all’attenzione come nemico del diabete.
La DI insegna al corpo a diventare più efficiente nell’utilizzo del grasso addominale per ottenere energia in caso di riduzione delle riserve di  carboidrati. Poiché può salvaguardare il muscolo esistente, sembra non verificarsi la riduzione del metabolismo dei grassi tipica delle diete cronicamente povere di calorie, che possono sottrarre al corpo il muscolo duramente guadagnato. Studi mostrano anche che chi fa digiuno intermittente non si abbuffa stupidamente quando può mangiare di più, cosa che permette di creare un migliore deficit calorico. E poi immaginate: con meno pianificazione alimentare  e  preparazione  di cibo fra i tanti impegni giornalieri, la vita potrebbe essere meno frenetica. Un  sogno!

I CINQUE PUNTI DEL DIGIUNO
Fame o dimagrimento? Usate questi consigli per ottimizzare la vostra alimentazione.

1. Piano di attacco Un piano DI classico prevede di mangiare come fareste normalmente
per cinque giorni la settimana e poi negli altri due giorni ridurre l’assunzione calorica al 25%
di quella di un giorno di alimentazione normale. Ciò elimina la frustrazione del non mangiare
assolutamente nulla nei giorni di digiuno e rende il DI più sostenibile nel lungo termine. Altri
potrebbero scegliere di assumere zero calorie per uno o due periodi di 24 ore ogni settimana.
Un altro metodo di minidigiuno prevede di restringere il periodo di alimentazione giornaliera
a otto ore, per esempio dalla 12.00 alle 20.00, seguito da 16 ore di “digiuno”. Se volete
intraprendere con calma il DI, potete provare a digiunare alla sera un paio di volte la settimana,
saltando la cena o mangiando qualcosa di piccolo come uno yogurt. Sperimentate per
scoprire quale programma funziona meglio per voi e osservate il grasso mentre scompare.
2. Calorie buone Se il vostro ciclo di digiuno prevede giorni in cui semplicemente mangiate
meno, fate pesare queste calorie concentrandovi su alimenti densi di nutrienti e sazianti
come cereali integrali, legumi ricchi di fibre, ortaggi, frutti e pesce. In altre parole, alimenti
che apportano tanti nutrienti relativamente al numero delle calorie che contengono. Inoltre,
quando digiunate bevete molti liquidi senza calorie per restare idratati in assenza di alimenti
che contengono acqua.
3. Mangiate pulito Perderete grasso solo se non userete i periodi non di digiuno per
abbuffarvi. La “dieta normale” deve essere ricca di alimenti interi, non di mine nutrizionali antiuomo.
Comunque il DI può essere più permissivo di molte altre diete, perciò non perdetevi
troppo nel calcolare quante calorie state assumendo.
4. Siate pazienti Il corpo può impiegare un paio di settimane per abituarsi al digiuno
intermittente. Perciò, se sperimentate effetti collaterali come nervosismo, confusione mentale,
volubilità o scarsa energia, probabilmente questi sintomi scompariranno nel tempo.
5. continuate ad allenarvi Anche nei giorni di digiuno potete comunque allenarvi intensamente.
Infatti, studi mostrano che periodi brevi di digiuno non compromettono la prestazione
atletica e per alcuni l’attività fisica può ridurre temporaneamente l’appetito. Tuttavia, se non vi
sente completamente a posto, allontanatevi dal rack per lo squat.


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2 luglio 2017

La dieta acida sta sabotando i risultati dell'allenamento?

Il fattore acido… sta sabotando i vostri guadagni muscolari?


Dal punto di vista alimentare, la crescita muscolare ha luogo quando i fattori anabolici predominano su quelli catabolici. I fattori anabolici comprendono un ambiente ormonale favorevole allo stimolo dei guadagni di forza e massa muscolare, come l'aumento dei livelli di testosterone e di ormone della crescita e un rilascio controllato di insulina al momento giusto. L'ormone catabolico principale, invece, è il cortisolo che è secreto dalla corteccia delle ghiandole surrenali, situate proprio sopra i reni. Una dieta ricca di proteine è essenziale anche per favorire l'anabolismo muscolare perché i componenti degli alimenti proteici, gli aminoacidi, sono direttamente coinvolti nella sintesi proteica muscolare. Inoltre, gli aminoacidi contribuiscono anche a limitare gli effetti del cortisolo.

     Il cortisolo è rilasciato quando il corpo si trova in condizioni di stress molto forte e, in questo senso, ha un ruolo protettivo: in presenza di un evento particolarmente stressante, come uno shock, una carenza di cortisolo può provocare persino la morte. L'attività fisica stessa è una forma di stress che, nelle condizioni giuste, risulta benefica. L'organismo reagisce all'allenamento rafforzando il sistema muscolare e quello cardiovascolare; d'altra parte, il corpo ha solo una capacità limitata di farlo e uno stress eccessivo può sopraffare le difese corporee, provocando una malattia. Così, il superallenamento è uno stress eccessivo che porta a una perdita muscolare, perché il corpo non riesce a far fronte a uno stress indotto di tale entità.

     Una causa meno nota della perdita muscolare che è comune fra molti bodybuilder comprende alterazioni nell'equilibrio corporeo fra acidi e basi. L'organismo funziona al meglio all'interno di un determinato range di pH, che è un indicatore dell'acidità. Ogni bodybuilder conosce bene il bruciore indotto da una serie intensa; esso è provocato da un accumulo di ioni idrogeno che segnala che la fine di quella serie particolare è vicina. In condizioni di acidità elevata gli enzimi muscolari addetti alla produzione energetica non riescono a lavorare e questo impedisce la contrazione muscolare. Il corpo, però, è influenzato anche dall'acidità sistemica.

     Sebbene l'acidità elevata si verifichi spesso in condizioni patologiche come attacchi cardiaci o collassi renali, ne esiste anche una forma più sottile che, spesso, non è riconosciuta immediatamente. L'acidità sistemica metabolica è legata alla dieta e, in particolare, a una rottura dell'equilibrio fra alimenti che innalzano l'acidità e cibi a base alcalina. La maggior parte degli alimenti ricchi di proteine, come anche i cereali e i prodotti derivanti dal grano, sono molto acidi. Le proteine generano acidità a causa della presenza di alcuni aminoacidi contenenti zolfo (metionina, cisteina e taurina). Lo zolfo presente in questi aminoacidi stimola la produzione di acido e, in particolare, di acido solforico altamente caustico.

     Normalmente, il corpo neutralizza l'acidità in eccesso grazie a vari tamponi, fra cui bicarbonato, fosfato e carnosina muscolare. Questo sistema tampone è rafforzato dall'assunzione di alimenti ricchi di minerali alcalini, quali potassio, magnesio e calcio. Gli alimenti alcalini sono principalmente frutta e verdura.

     Cosa accade quando si segue una dieta ricca di proteine e non si assumono alimenti alcalini? Studi mostrano che la maggior parte delle persone tende a seguire una dieta molto acida, principalmente perché non mangia abbastanza frutta e verdura. Invecchiando, la funzionalità renale declina; i reni sono l'organo principale di escrezione dell'acido in eccesso, di conseguenza molti anziani soffrono di uno stato di lieve acidosi cronica. Altri studi mostrano che anche le persone obese che seguono diete per perdere grasso corporeo sono portate a sviluppare questa acidosi lieve. Infatti, l'aumento dei livelli di acidità determinato da queste diete può causare una perdita muscolare che, a sua volta, provoca una riduzione del ritmo metabolico a riposo (e questo quasi sicuramente assicura la riacquisizione del grasso perso). Altri studi mostrano che la somministrazione di un agente tampone, come il bicarbonato di potassio, arresta la perdita muscolare; il modo migliore per ottenere questo effetto è mangiare più frutta e verdura.



     In risposta a un innalzamento del grado di acidità corporea, i livelli di cortisolo aumentano, portando a una disgregazione del tessuto muscolare. Quando gli aminoacidi rilasciati dai muscoli sono entrati nel sangue, essi si dirigono verso il fegato in cui sono convertiti in glutamina. I reni usano questa sostanza per sintetizzare ammoniaca, le cui molecole accettano facilmente i protoni acidi e sono, poi, secrete sotto forma di ioni ammonio. Questo provoca un'espulsione degli acidi e, quindi, una riduzione dell'acidità ematica. Questo è uno dei sistemi tampone principali del corpo, ma spiega anche la relazione fra acidità corporea elevata e perdita muscolare.

     Con l'invecchiamento, la situazione si aggrava poiché, spesso, negli anziani la funzionalità renale si riduce in media del 40%. Uno studio recente ha scoperto che negli anziani che mangiano più alimenti di tipo alcalino (come si determina dall'escrezione del potassio, uno dei minerali alcalini principali) la perdita muscolare è minore rispetto a quella di chi mangia solo cibi molto acidi. Gli autori suggeriscono che gli anziani che mangiano frutta e verdura, oltre a una dose sufficiente di proteine, evitano la perdita muscolare che provoca la fragilità.

     Un altro studio recente piuttosto interessante ha analizzato 1.136 donne giovani con età fra 18-22 anni per scoprire una qualche associazione fra la rottura dell'equilibrio acidi/basi e i fattori di rischio cardiovascolare. Lo studio ha scoperto collegamenti positivi fra l'assunzione di cibi altamente acidi e pressione del sangue elevata, aumento delle lipoproteine totali e di quelle a bassa densità e, sorprendentemente, persino un allargamento del punto vita, che è associato alla sindrome metabolica. Si è pensato che tali effetti fossero collegati a un aumento del livello di cortisolo indotto dall'assunzione di cibi molto acidi, associata a una perdita di minerali come citrato e calcio, che agiscono come tamponi nel corpo.

     Cosa significa questo per i bodybuilder che si allenano intensamente? Come ho osservato parlando delle diete povere di carboidrati, uno dei problemi maggiori delle diete ricche di proteine e povere di carboidrati è l'aumento dell'acidità. Alcuni ritengono che tali diete provochino una perdita muscolare che è, spesso, erroneamente attribuita alla carenza di carboidrati. La causa, però, non sono i carboidrati, ma l'acidità elevata che favorisce un aumento del cortisolo.

     La cura è semplice: mangiate più frutta e verdura. Chi non lo fa dovrebbe assumere una quantità sufficiente di minerali alcalini, quali magnesio, potassio e citrato, per bilanciare l'acidità elevata provocata dalla dieta ricca di proteine. Tuttavia, è molto meglio mangiare più cibi alcalini, perché essi forniscono anche altri nutrienti come le fibre che sono, spesso, carenti nelle diete ricche di proteine.

Jerry Brainum

Tratto da Iron Man Italia 2008

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1 luglio 2017

Alla scoperta della glutammina peptide


Glutammina peptide
a cura del dott. Massimo Buonavita e della Dott.ssa Elena Marazzo
Unità Legale e Unità Scientifica di Total Quality Food Consultants S.r.l.
Pubblicato su Olympian's News n.54 all rights reserved


La glutammina è un aminoacido chiave per il metabolismo dei composti azotati. Scoperta come nutriente per migliorare le condizioni di pazienti alimentati per via parenterale, le sue proprietà sono state rivalutate anche per migliorare le performance non solo di sportivi e atleti professionisti, ma anche di tutte le persone che, a livello amatoriale, svolgono un’attività fisica più o meno costante ed impegnativa.
Sebbene le ricerche continuino, ormai è stato accettato che una sua supplementazione possa favorire il recupero dopo un’intensa attività fisica, aiutando il tessuto muscolare a ripristinare i livelli delle riserve impiegate per far fronte allo sforzo.
Nell’esposizione che segue, faremo alcune considerazioni generali sugli aminoacidi, categoria cui la glutammina peptidica appartiene.
Illustreremo quindi le caratteristiche chimiche peculiari della glutammina, e ci soffermeremo sulle sue proprietà specifiche, con particolare riferimento al bilancio dell’azoto, ai modi con cui assumerla e alla sua “essenzialità”, per poi terminare con alcune considerazioni sui dosaggi.

Caratteristiche chimiche degli aminoacidi
Gli aminoacidi sono composti azotati costituiti in generale da:
• un gruppo aminico (indicato con -NH2)
• un gruppo carbossilico con proprietà acide (indicato con -COOH)
• un gruppo caratteristico (indicato con -R)
tutti i gruppi sono legati allo stesso atomo di carbonio detto “carbonio alfa” (Ca) come si vede in Fig. 1.

Fig. 1 Rappresentazione schematica di un aminoacido, con evidenziati il gruppo amminico e il gruppo acido
Per la prerogativa di possedere la medesima disposizione nello spazio dei gruppi legati al Ca, gli aminoacidi di tutti gli animali e dei vegetali sono stati inclusi nell’insieme denominato “serie L” o “serie naturale”. Questo è il motivo per cui si parla di L-glutammina, L-arginina, L-leucina, ecc. Le proprietà biochimiche degli aminoacidi sono determinate in maniera decisiva dalle caratteristiche delle catene laterali che essi portano legate.
Gli aminoacidi si combinano fra loro tramite ciò che i chimici definiscono “legame peptidico”, formando delle catene lineari con lunghezza variabile da due elementi (dipeptidi), alcuni (oligopeptidi) e molti (polipeptidi). Generalmente, comunque, con il termine “peptide” si intende una sequenza costituita da due fino a 80 aminoacidi circa, a differenza delle proteine che invece di media ne contengono alcune centinaia.
La L-glutammina è un aminoacido non essenziale, estremamente abbondante nei muscoli e nel plasma, la cui forma strutturale è riportata in Fig. 2.


Fig. 2 Rappresentazione della formula chimica della glutammina.

Bilancio dell’azoto e glutammina
Nell’uomo, il “bilancio dell’azoto”, definito come l’equilibrio chimico esistente tra la velocità di sintesi e velocità di degradazione dei composti azotati, è negativo, intendendo con ciò che tali composti vengono comunque espulsi dall’organismo anche in stati carenziali della dieta a causa del fatto che, al contrario di quanto accade per gli zuccheri e per i lipidi, non esistono polimeri di riserva per i composti azotati.
L’uomo, quindi, per poter ricavare il materiale per costruire le proteine, gli acidi nucleici e altri importantissimi composti, dipende per la sua sopravvivenza dalle proteine introdotte con il cibo. È certamente vero che esistono dei sistemi di riciclo che permettono di recuperare, ad esempio, alcuni aminoacidi, ma è altrettanto vero che essi vengono ricavati dal tessuto muscolare.
Il ricambio delle proteine e degli enzimi è un processo continuo, che segue un preciso equilibrio, secondo le esigenze cellulari del momento. I meccanismi di regolazione, tramite specifici segnali che il nucleo riceve e ritrasmette, attivano l’espressione di alcuni geni e l’inibizione di altri. Tra questi vi è la glutammina, che influisce sull’equilibrio dell’azoto cellulare nel tessuto del muscolo scheletrico, aumentando la velocità di sintesi proteica e diminuendone la velocità di degradazione. Quando tale aminoacido raggiunge una concentrazione intracellulare adeguata, si ha l’avvio della divisione cellulare.
Lo scopo per un atleta di utilizzare integratori di aminoacidi, non essenziali, in quanto perfettamente sintetizzabili dalle cellule come la glutammina, è l’aumento della massa muscolare. Per fare ciò occorre attivare le vie anaboliche di sintesi proteica, spostando il bilancio dell’azoto da uno stato negativo ad uno positivo. La glutammina è una sostanza fondamentale per tali processi, in quanto essa svolge un ruolo fondamentale nella duplicazione cellulare e l’organismo ne può produrre solamente in quantità limitata.
Da alcuni studi scientifici eseguiti su atleti, inoltre, è stato rilevato che la demolizione delle proteine avviene comunque (specialmente nel periodo del digiuno) e che l’esercizio fisico di resistenza diminuisce l’intensità di tale fenomeno.
Vogliamo qui puntualizzare che, al fine di ottenere migliori risultati, la “risposta anabolica”, ovvero la crescita muscolare, avviene solamente seguendo una dieta bilanciata, in cui compaiono tutti gli aminoacidi necessari e soprattutto quelli essenziali. In tale contesto, potrebbe essere conveniente utilizzare un integratore alimentare, il cui scopo è proprio quello di sopperire ad un aumentato fabbisogno di determinati nutrienti.
Per quanto siano ancora in fase di verifica e di approfondimento, pare che il miglior momento per utilizzare un integratore a base di glutammina sia la fase di riposo successiva a quella di allenamento. È stato infatti osservato un aumento della sintesi del glicogeno muscolare probabilmente indotto da questo aminoacido. Ciò ci porterebbe alla conclusione che, dopo l’allenamento, una buona strategia per ottenere una maggiore sintesi proteica e di glicogeno muscolari, potrebbe essere un’alimentazione completa (contenente quindi anche vitamine e sali minerali) ricca di carboidrati e alcune proteine.

Integratore “condizionatamente essenziale”
Si è cominciato a utilizzare la glutammina come ingrediente negli integratori alimentari in seguito alla scoperta che essa aveva la proprietà di limitare la velocità delle reazioni proteolitiche in pazienti traumatizzati e in stato di stress fisiologico.
In un certo senso, anche un’intensa attività sportiva o fisica crea degli scompensi a livello muscolare e il ragionamento per cui si potrebbe concludere che la glutammina possa tornare utile anche a soggetti sanissimi, come gli atleti che eseguono performance di potenza e che necessitano quindi di grosse masse muscolari, con lo scopo di mantenere uno stato anabolico cellulare.
I programmi di esercizio fisico intenso e frequente, infatti, spesso producono nell’atleta uno stato di deficienza energetica che solitamente si accompagna alla demolizione delle proteine del tessuto muscolare, provocando un calo della massa così faticosamente guadagnata.
Il 60% di glutammina libera nell’organismo umano è contenuta nel tessuto muscolare. Durante l’attività fisica, specialmente se intensa e prolungata, si ha un calo drastico nella concentrazione plasmatica di tale importante aminoacido. Essendo inoltre un fattore estremamente importante per il corretto funzionamento del sistema immunitario, si è ipotizzato che l’aumento di infezioni del tratto respiratorio superiore in atleti professionisti fosse dovuto proprio ad un suo consistente calo dopo la performance.
La glutammina può quindi seguire due vie metaboliche completamente diverse: o innescare i processi anabolici (per esempio la sintesi proteica, la divisione cellulare), oppure essere utilizzata dai linfociti. A questo punto l’organismo, per sopravvivere in situazioni di stress, si trova a dover scegliere tra l’efficienza immunitaria e l’avere una massa muscolare possente. La richiesta di glutammina sia plasmatica sia muscolare, quindi, aumenta notevolmente e la velocità di ri - sintesi cellulare e non è in grado di far fronte a quanto viene consumato. La glutammina, allora, è stata classificata come amino acido “condizionatamente essenziale”, poiché l’aumento di un suo apporto ha la funzione di ripristinare l’attività immunitaria senza demolire le “riserve” immagazzinate nelle proteine muscolari.
Occorre però ricordare che gli integratori alimentari sono creati con il preciso scopo di complementare una dieta altrimenti sbilanciata nell’apporto di alcuni nutrienti, per cui non è possibile pensare che per raggiungere un determinato risultato sia sufficiente utilizzare qualche miscela “miracolosa”.
Il vero atleta, quindi, segue con disciplina il programma di esercizi fisici previsti, intervallandoli con un adeguato riposo e alimentandosi con pasti frequenti, facendo attenzione alle sue precise esigenze fisiologiche, che possono implicare anche stati carenziali di sostanze non essenziali come la glutammina. È altresì importante notare che le esigenze fisiologiche per i nutrienti variano nel tempo, per cui occorre sapere qual è il momento in cui il muscolo ne ha maggior bisogno.

Fonti di glutammina peptidica
In commercio esistono molti prodotti contenenti glutammina. Spesso ciò che viene definito in etichetta “glutammina peptidica” non è altro che un frammento proteico ottenuto da proteine presenti in altri alimenti (come il grano o il latte). Solamente tramite un processo di idrolisi completa si ottengono i peptidi di migliore qualità, in quanto pare che un frammento con lunghezza inferiore sia maggiormente digeribile rispetto a quelli più lunghi e quindi possieda una migliore qualità nutrizionale.
Le proteine da cui si ricava la glutammina peptidica possono essere di origine vegetale (glutine, soia) o di origine animale (caseine, siero di latte). In Tab. 1 abbiamo confrontato l’apporto di glutammina rispetto alle diverse tipologie di materie prime.
Materia primaStima del contenuto di glutammina
Glutine
Caseina, sieroproteine (*)
30 %
3 - 10 %
Tab.1 Confronto del contenuto di glutammina tra diverse tipologie di materie prime
(*) Le proteine animali apportano principalmente un altro aminoacido, il glutammato (Glu) (Fig.3), che può seguire vie metaboliche diverse, di cui una è la sua conversione in glutammina (Gln) ad opera dell’enzima glutammina sintetasi secondo la reazione:
NH3 + Glu + ATP —> Gln + ADP + Pi
Tale reazione avviene frequentemente nelle cellule ed è di notevole importanza, in quanto fa parte del sistema di trasporto dell’ammoniaca, che in forma legata perde la sua citotossicità. Si pensi, ad esempio, che il 90% dell’azoto dell’organismo viene rilasciato sotto forma di glutammina.



Fig. 3 Rappresentazione della formula chimica del glutammato.
Sono ancora molte le opinioni sulla forma chimico-fisica ottimale della glutammina da utilizzare come ingrediente per gli integratori. Sicuramente vi sono notevoli difficoltà per quanto riguarda la sua stabilità sia quando essa si presenta come polvere, sia soprattutto sciolta nei liquidi. Mentre nel secondo caso la trasformazione di glutammina in glutammato per reazione con l’acqua è praticamente inevitabile, nel primo caso si è pensato di creare sistemi più stabili, come, appunto, i peptidi. Pare infatti che la glutammina legata possa garantire una migliore durabilità.

Dosaggi consigliati e uso
La dose giornaliera di glutammina consigliata dai produttori è di 1.0 g circa. Alcuni ricercatori hanno indicato dosaggi molto superiori a questo per evitare un calo nella concentrazione di glutammina plasmatica (circa 0.1 g per kg corporeo) in seguito ai risultati ottenuti. Tuttavia, è consigliabile seguire le modalità d’uso e le indicazioni riportate in etichetta, per evitare danni alla salute.
In alcuni soggetti, per esempio, un dosaggio eccessivo ha procurato problemi gastrointestinali. Circa l’uso prolungato per dosi superiori ad 1.0 g/die, non vi sono dati disponibili, ma gli integratori di aminoacidi generalmente sono controindicati per le persone affette da disordini renali, a causa dell’aumento nel carico del metabolismo azotato.
Per questo il Ministero della salute ha stabilito di riportare una simile avvertenza sull’etichettatura degli integratori di aminoacidi, che tra l’altro ne sconsigli l’uso prima dei 12 anni di età e durante la gravidanza.

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