7 dicembre 2012

Le proteine animali fanno bene alle ossa

di Jerry Brainum

Avrete sentito spesso l’appello dei dietisti e dei nutrizionisti tradizionalisti del sistema predominante: mangiare troppe proteine animali fa male alle ossa, perché induce la perdita di calcio... dicono così o no? Dunque, come molte altre idee bislacche messe in giro dalla dietologia convenzionale, anche questa va decisamente scartata sulla base dei risultati (volutamente tenuti nascosti) della ricerca scientifica.

Due studi, uno pubblicato nel Journal of Bone Mineral Research e l’altro nell’American Journal of Epidemiology, indicano piuttosto chiaramente che mangiare più proteine fa bene alle ossa. Ecco perché.

In uno degli studi, i ricercatori hanno esaminato ben 572 donne e 388 uomini, di età compresa tra i 55 ed i 92 anni, valutando l’associazione fra l’assunzione di proteine animali e la densità ossea nell’arco di quattro anni. I ricercatori hanno scoperto che maggiore era la quantità di proteine assunta, maggiore era la densità ossea nel bacino, nella colonna vertebrale e nello scheletro nel suo complesso. Inoltre (ciò non piacerà ai vegetariani, che in ogni caso dovranno farsene una ragione), i ricercatori hanno scoperto che, sia negli uomini sia nelle donne, maggiore è l’assunzione di proteine vegetali e minore è la densità ossea.

L’altro studio ha scoperto la stessa cosa. Come hanno detto gli autori, “Una minore assunzione proteica è fortemente legata alla perdita ossea nel femore e nella colonna vertebrale dei soggetti analizzati”.

La prossima volta che sentite dire che mangiare tante proteine animali fa male alle ossa, ricordatevi di questo articolo e rispondete per le rime citando le fonti! ;)

Bibliografia:

Hannan, M.T., et al. (2000). Effect of dietary protein on bone loss in elderly men and women: the Framingham Osteoporosis Study. J Bone Miner Res. 15(12) :2504-12.

Promislow, J.H., et al. (2002). Protein consumption and bone mineral density in the elderly: the Rancho Bernardo study Am J Epidemiol. 155(7):636-44.

Articolo tratto da “Applied Metabolics Volume 5“, pubblicato in Italia da Sandro Ciccarelli Editore. Tutti i diritti riservati.

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